martedì 16 marzo 2010

Liberazione 16/03

Nei territori devastati il 6 aprile si pensa più a ripartire che alle elezioni
L'Aquila post sisma e post show mediatico alla prova del voto

Francesco Ruggeri (Checchino Antonini)
L'Aquila (nostro inviato)

Non ci sono faccioni a L'Aquila. E come potrebbero spuntare nella città fantasma intoccata e pressoché deserta dopo lo sconquasso del 6 aprile scorso? I segnali delle elezioni provinciali imminenti bisogna cercarli altrove. La città è una mappa di diaspore tra quello che resta in piedi nelle frazioni, tra le 23 new town bertolasiane, cittadelle-dormitorio dove sciamano in 15mila ogni mattina, e altri 28mila sono in "autonoma sistemazione" che vuol dire seconde case chissà dove o in affitto al nero. Solo 2mila persone hanno avuto la fortuna di un affitto concordato. I tentennamenti di Cialente, sindaco a L'Aquila, a requisire gli appartamenti sfitti hanno favorito i fondi immobiliari che oggi danno casa ad altri 1500 aquilani e che domani venderanno a caro prezzo palazzine comprate a prezzi di realizzo. Altri 5mila vivono nei Map, le casette rimovibili più vicine, in genere ai quartieri di provenienza, che costano un quarto delle palazzine di Bertolaso (700 euro al metroquadro contro 2700) ma che non potevano essere inaugurate in cerimonie televisive così da illudere l'audience che il peggio era passato. La vera periferia della città sono i settemila, quasi tutti anziani, ancora confinati negli alberghi sulla costa o nell'entroterra. Ad esempio a Pescasseroli, dove il botto del 6 aprile non s'è neanche sentito ma il panico ha cancellato i registri degli albergatori.

Francesco Marola, giovane comunista delle Brigate di solidarietà (che sono riuscite a imporre un minimo di trasparenza nell'accesso alle graduatorie per gli alloggi) e Fabio Pelino, segretario cittadino di Rifondazione, fanno questo censimento assieme al cronista mentre tra Piazza Duomo e Piazza Palazzo, sede del comune, c'è un via vai di "callarelle" e carriole per portar via le macerie. Per la terza domenica di fila hanno risposto in migliaia all'appello per riprendersi la città. Stavolta ci sono anche i container per la raccolta differenziata del materiale. Le terracotte no, quelle restano a Piazza Palazzo. La città dovrà rinascere com'era. Il cartellone degli studenti avverte che L'Aquila non è una tenda e nemmeno una caserma. L'Aquila è un centro e al centro, in Piazza Duomo riaperta a metà, c'è una tensostruttura dove si prova a guardarsi in faccia per ricostruire socialità e attivare partecipazione. Davanti a Palazzo Margherita, il municipio, la montagna di macerie si abbassa. Sopra suonano gli Artisti aquilani, è un brano tradizionale. L'Aquila progetta di non perdere la memoria. Gli Artisti, assieme all'Arci, agli scout del Cngei, a teatranti e molte altre comunità e associazioni (tra cui la prestigiosa istituzione dei Solisti aquilani) si sono visti sottrarre la nuova sede provvisoria da un parcheggio, sebbene una delibera comunale gliel'avesse assegnata. Si raccolgono firme per un tetto adeguato, per comprare medaglie ai vigili del fuoco, per riunire gli uffici comunali dispersi tra venticinque sedi differenti. Si prepara la trasferta a Roma per il corteo del 20 contro la privatizzazione dell'acqua. Il giorno dopo, proprio qui, ci sarà una grande assemblea per connettere le proposte sulla ricostruzione. «Dopo, dopo, dopo il terremoto... sulla terra in movimento senza pace, mentre sopra le macerie la giustizia tace...»: i ragazzi di Zona rossa crew hanno dato voce a una narrazione nervosa e decisa, a una generazione che non dimentica e non dimentica di fare. I rapper cantano in Piazza Duomo. Dall'altra parte della catena di secchi si alzano fischi ad accogliere Giovanni D'Ercole, vescovo ausiliario. Ma è venuto a spalare anche lui, e i fischi si placano. Bertolaso aveva definito inutile il lavorìo delle carriole, il sacerdote sembra pensare il contrario: «E' un modo in cui esprimono la loro rabbia, vanno aiutati», dichiara prima di sottrarsi ai cronisti. Ma di elezioni non ne parla nessuno. Già alle scorse europee la percentuale di astensionismo è schizzata oltre il 71%. Ma le provinciali sono una faccenda diversa, contano le relazioni corte. Conta la provenienza: i voti aquilani sono 90mila e 80mila quelli della Valle Peligna, la Marsica batte tutti con 130mila elettori. Se il capoluogo dovesse disertare le urne, tutto si deciderebbe in provincia. Infatti è marsicano l'antagonista per il Pdl della presidente uscente.

Da una parte, dunque, c'è Stefania Pezzopane, cinquantenne originaria di Onna, il paese raso al suolo, simbolo del terremoto aquilano. Presidente uscente a capo di una coalizione di centrosinistra, un gradimento alle stelle. Dall'altra Antonio Del Corvo, cinquantenne, commercialista, marsicano. Uomo di Filippo Piccone, controverso padrone locale di Forza Italia e propenso a scippare il capoluogo a L'Aquila in favore di Pescara. E' già consigliere regionale e comunale a Celano. Il suo nome è spuntato da un summit Piccone-Berlusconi che ha zittito i malumori degli alleati. Il campanilismo avrà il suo peso nelle urne e la narrazione ufficiosa delle destre, una volta sprofondato il mito di Bertolaso, punta sul messaggio fasullo che una presidente aquilana sbilancerebbe troppo la distribuzione delle risorse. Dopo aver sbraitato per mesi contro il governo, l'Udc ha scelto di stare con Del Corvo e schiera l'ex assessore regionale alla Protezione civile.

18mila cassintegrati "sismici" e una crisi che, a L'Aquila, s'è sentita più che altrove perché i tagli del governo «sono stati micidiali in una zona che viveva di versamenti governativi», spiega Marco Riccardi, segretario della Marsica per Rifondazione. Chiusure e ammortizzatori erano iniziati a a piovere già prima del sisma sulle zone industriali di Avezzano e Sulmona. «La gente non ne può più del clientelismo e di una gestione dissennata del territorio - continua Riccardi - qui siamo riusciti a bloccare una rete di dieci inceneritori stando dentro alle dinamiche di movimento».

Per la Federazione della Sinistra il bilancio di sei anni di governo (dopo il sisma le elezioni sono slittate) è «sostanzialmente positivo - riprende Pelino - Rifondazione ha avuto, con Benedetto Di Pietro, l'assessorato alla formazione e all'edilizia scolastica che ha svolto un lavoro trasparente e poco appariscente gestendo anche la Casa della pace». Prima del terremoto, il «nostro assessore ha lavorato - ricorda Riccardi - coinvolgendo in tavoli reali gli operatori di base e i dirigenti prima di compiere ogni scelta. E'accaduto per individuare ogni anno i fabbisogni formativi nella formazione professionale. Quando Gelmini ha imposto gli accorpamenti è stato un tavolo partecipato a cercare modi non traumatici per ammortizzare gli effetti dei tagli. Per la prima volta la provincia s'è dotata di una guida e di un osservatorio per l'orientamento scolastico». E poi Pezzopane, ricordano tutti, non è stata subalterna a Bertolaso e Berlusconi come Cialente. Lei è riuscita a dire dei no. E' stata tra i primi a esprimere dubbi sul progetto Case perché avrebbe lacerato il tessuto sociale».

Determinante per la scelta della coalizione l'emergenza democratica in cui la città ha vissuto dalle 3.32 del 6 aprile in poi. E' qui che Berlusconi ha spinto per mettere in scena un rapporto diretto capo-masse mentre imponeva un modello di ricostruzione basato sulla speculazione e il malaffare. Nel programma, la Federazione punta su una ricostruzione partecipata e trasparente, sul rafforzamento delle relazioni sociali con il coinvolgimento della società civile, su uno sviluppo industriale basato sulle vocazioni della città (polo tecnologico, industria farmaceutica) «in connessione con l'università (che ha perduto solo un quinto dei suoi 25mila iscritti)», raccomanda Marola che, intanto, s'è trasferito con altri manifestanti al presidio contro la discarica di macerie ventilata a Cesarano, scorcio di paesaggio incredibile all'ingresso del Parco nazionale, proprio sopra Camarda dove hanno lavorato per mesi le centinaia di volontari delle Brigate di solidarietà attiva.

16/03/2010

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